CONSIGLIO DI STATO, Sez. 6^ – 5 marzo 2014, n. 1059
N. 01059/2014REG.PROV.COLL.
N. 00757/2013 REG.RIC.
N. 07795/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 757 del 2013, proposto da
Autorità di Bacino del Fiume Sarno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Massimo Lacatena, domiciliata in Roma, via Poli, 29
contro
Comune di Massa Lubrense, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gianvincenzo Esposito, con domicilio eletto presso Carlo Boursier Niutta in Roma, viale Giulio Cesare, 21-23;
Azienda Sanitaria Locale Napoli 3 Sud
nei confronti di
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero per i beni e le attività culturali, Ministero della difesa, Agenzia del territorio, Agenzia del territorio sede di Napoli, Agenzia delle dogane Napoli 2, Agenzia del demanio, Agenzia del demanio sede di Napoli, Regione Campania, Area Marina Protetta di Punta della Campanella, Agenzia delle dogane, Capitaneria di Porto di Castellammare di Stabia, Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per la Campania e il Molise, Provincia di Napoli, Terra delle Sirene s.p.a.;
Marina Lobra s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Barbara Del Duca, Alberto Mario Garofalo e Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2
sul ricorso numero di registro generale 7795 del 2013, proposto da
Gargiulo Michele, ‘Da Michele di Gargiulo Michele & c.’ s.n.c. rappresentata da Celentano Filomena, rappresentati e difesi dagli avvocati Umberto Gentile, Valerio Ricciardi, Federico Tedeschini e Andrea Abbamonte, con domicilio eletto presso Paolo Carbone in Roma, via del Pozzetto, 122
contro
Regione Campania, Sima-Soc. di Ingegneria – Soc. Servizi Integrati Marini e Ambientali, Comarit s.p.a., Cipa s.r.l., Taxi del Mare s.r.l., Edilpenisola 80 s.r.l.;
Provincia di Napoli, rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo Di Falco e Luciano Scetta, con domicilio eletto presso la segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
Comune di Massa Lubrense, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ferdinando Pinto, con domicilio eletto presso Michele Sandulli in Roma, via XX Settembre, 3;
Marina Lobra s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Alberto Mario Garofalo e Barbara Del Duca, con domicilio eletto presso Ennio Magrì in Roma, via Guido D’Arezzo, 18;
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12
per la riforma quanto al ricorso n. 757 del 2013: della sentenza in forma semplificata del T.A.R. della Campania, Sezione VII, n. 4259/2012;
quanto al ricorso n. 7795 del 2013: della sentenza del T.A.R. della Campania, Sezione VII, n. 2766/2013;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Massa Lubrense, della Marina Lobra s.r.l., della Provincia di Napoli e del Ministero per i beni e le attività culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2014 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Lacatena, Esposito, Del Duca, Clarizia, Gentile, Andrea Abbamonte, Tedeschini, Pinto e l’avvocato dello Stato Marchini;
Sostituito per l’estensione il relatore con il Presidente ai sensi dell’art. 276, u.c., Cod. proc. civ.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
Risulta dagli atti processuali che con nota in data 13 maggio 2011, il Comune di Massa Lubrense (Na) indiceva una conferenza di servizi decisoria (artt. 14 e seguenti della l. 7 agosto 1990, n. 241) per l’esame e l’approvazione del progetto definitivo per la ristrutturazione dell’area portuale di Marina della Lobra e rimessaggio con sistemazione per la balneazione del litorale di Chiaia.
Il Comune procedente invitava a partecipare, fra le altre amministrazioni, l’Autorità di bacino regionale del Fiume Sarno (d’ora in poi: ‘l’Autorità appellante’) in qualità di amministrazione deputata a esprimere un parere obbligatorio sulla compatibilità dell’intervento con i vigenti strumenti di pianificazione in tema di prevenzione del rischio idrogeologico (in particolare, riguardo alle prescrizioni di cui al Piano stralcio per l’assetto idrogeologico del bacino del fiume Sarno –delibera della Giunta regionale della Campania 24 novembre 2011 -).
A seguito di quattro sedute della conferenza (alle quale non aveva preso parte alcun rappresentante dell’Autorità appellante), il Comune di Massa Lubrense procedeva a convocare una quinta – e dichiaratamente conclusiva – seduta per il giorno 15 novembre 2011.
Poco prima dell’inizio dei lavori della Conferenza, l’Autorità appellante – che anche in questo caso non aveva designato alcun rappresentante a prendervi parte – faceva pervenire via fax al Comune procedente una nota a firma del Commissario straordinario, con cui rendeva noto che il proprio Comitato tecnico aveva espresso parere contrario al progetto per contrasto con i vigenti atti di pianificazione.
Nonostante il contenuto della nota, il dirigente del Comune di Massa Lubrense procedeva ad adottare comunque, con delibera n. 91 del 29 dicembre 2011, il provvedimento conclusivo della conferenza di servizi diretta all’approvazione del progetto definitivo.
Circa il parere negativo espresso dall’Autorità appellante, il Comune procedente riteneva di potersene discostare anzitutto per essere stato trasmesso solo via fax, in assenza di partecipazione personale di un rappresentante dell’Autorità: il che rendeva inesistente quella manifestazione.
Inoltre, il Comune rilevava l’incompetenza del Commissario straordinario a sottoscrivere l’atto. Da ultimo – e nel merito – il dirigente comunale affermava di non ritenere condivisibili le ragioni tecnico-fattuali poste a fondamento del richiamato parere.
Il provvedimento comunale veniva impugnato dall’Autorità di bacino dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania il quale, con la sentenza oggetto del presente appello, lo respingeva.
La sentenza è stata appellata dall’Autorità di bacino, che ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:
1) Error in iudicando – Violazione degli articoli 14 e segg. della legge n. 241 del 1990 – Falso presupposto – Erronea valutazione dei fatti e del procedimento – Error in procedendo – Violazione del Piano stralcio per l’assetto idrogeologico del bacino del Fiume Sarno – Violazione dell’art. 17 della legge regionale n. 35 del 1987 (PUT Area Sorrentina-Amalfitana).
Il primo giudice avrebbe interpretato in modo erroneo – e comunque formalistico – il complesso delle disposizioni che disciplinano il modello decisionale partecipativo delle conferenze di servizi cc.dd. decisorie (in particolare, gli articoli 14-ter e 14-quater della l. n. 241 del 1990).
In particolare, la sentenza avrebbe erroneamente attribuito valore determinante alla partecipazione fisica di ciascuna amministrazione ai lavori della Conferenza, dimenticando che non costituisce un organo collegiale a partecipazione necessaria, bensì un modello procedimentale di semplificazione amministrativa. Nell’ambito della sua disciplina normativa, è previsto (art. 14-quater, comma 1) che il dissenso sia manifestato “nella conferenza di servizi”, con ciò intendendosi che debba essere temporalmente espresso prima del termine dei lavori, ma non necessariamente nella fisica compresenza dei rappresentanti delle varie amministrazioni.
Guardando la questione nei tratti sostanziali, non si poteva negare che l’Autorità appellante avesse tempestivamente ed efficacemente espresso il suo dissenso “nella conferenza”, perché l’atto di dissenso era pervenuto via fax prima dell’inizio dei lavori dell’ultima seduta e le altre amministrazioni avevano comunque potuto averne tempestivamente conoscenza.
Del resto, vi sono ipotesi in cui neppure astrattamente si potrebbe pretendere la fisica presenza dei rappresentanti di una delle amministrazioni partecipanti ai lavori: come nel caso dei pareri negativi a carattere vincolante e nel caso di oggettiva impossibilità per il rappresentante di un’amministrazione a prendere parte ai lavori.
2) Error in iudicando – Error in procedendo – Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 152 del 2006 – Violazione e falsa applicazione della legge n. 241 del 1990 – Violazione del Piano stralcio per l’assetto idrogeologico del bacino del fiume Sarno, approvato dal Consiglio regionale della Campania in data 24 novembre 2011, e delle relative norme di attuazione.
Anche se il primo giudice ha ritenuto dirimente che il dissenso dell’Autorità fosse stato espresso nei modi detti, anche le altre ragioni addotte dal Comune per disapplicare nei fatti il dissenso espresso erano illegittime ed erronee.
In primo luogo, sarebbe errato affermare l’incompetenza del Commissario straordinario dell’Autorità ad esprimere il dissenso, atteso che l’art. 8 del Piano di bacino attribuisce la competenza in modo espresso al Commissario straordinario.
Ancora, il Comune di Massa Lubrense avrebbe erroneamente omesso di considerare che il parere negativo dell’Autorità, provenendo da un’amministrazione preposta alla tutela di un interesse sensibile, non avrebbe potuto essere semplicemente disatteso, ma avrebbe imposto allo stesso Comune l’onere di attivare la procedura di componimento del dissenso di cui all’art. 14-quater della l. 241 del 1990.
Con ulteriore motivo (pagina 19 e seguenti dell’atto di appello) l’Autorità sottolinea che il Comune non avrebbe potuto disattendere il parere negativo, perché parere vincolante proveniente da amministrazione preposta alla cura dei corretti assetti idrogeologici dell’area (in tal senso: art. 8 delle Norme di attuazione al Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico – PSAI -).
Nell’approvare il progetto definitivo, infatti, il Comune avrebbe omesso di considerare che, come configurato e nella sua interezza, il progetto non era compatibile con gli indirizzi di tutela per le aree a pericolo di dissesti di versante ai sensi del Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico del bacino del fiume Sarno, tanto per le ricadute sulle aree contermini, quanto per la locale incompatibilità di alcuni suoi specifici interventi.
Nel ricorso n. 757/2013 si è costituito il Comune di Massa Lubrense, che ha concluso nel senso dell’infondatezza dell’appello.
Nel medesimo ricorso si è costituita la Marina Lobra s.r.l. (società di progetto costituita per la realizzazione dell’intervento), la quale ha concluso nel senso dell’improcedibilità e, nel merito, per l’infondatezza dell’appello.
Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Campania (n. 6473/2008), il signor Gargiulo Michele, comproprietario di un terreno in Massa Lubrense su cui insiste un fabbricato adibito a ristorante, impugnava gli atti del progetto definitivo per la ristrutturazione dell’area portuale di Marina di Lobra e rimessaggio con sistemazione per la balneazione del litorale di Chiaia.
In particolare, con il ricorso principale e con i successivi motivi aggiunti, egli impugnava l’intera serie di atti che avevano condotto all’approvazione del progetto, dal progetto preliminare di finanza di progetto per i lavori di ristrutturazione dell’area portuale presentato a suo tempo dal promotore ai sensi dell’art. 37-bis della l. n. 109 del 1994 sino alla determinazione dirigenziale del 29 dicembre 2011, di approvazione del progetto definitivo e agli atti conseguenti.
Con la sentenza n. 2766/2013 (impugnata nell’ambito del ricorso in appello n. 7795/2013), il Tribunale amministrativo respingeva il ricorso, ritenendolo infondato.
La sentenza è stata impugnata in appello dal medesimo Gargiulo (insieme alla ‘Da Michele di Gargiulo Michele & c.’ s.n.c. rappresentata da Celentano Filomena, che gestisce il ristorante insistente sulla di lui proprietà), che ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi di doglianza.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Massa Lubrense e la Marina Lobra s.r.l., i quali hanno concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Si è, altresì, costituita in giudizio la Provincia di Napoli, la quale ha concluso nel senso della sua estromissione dal giudizio ovvero, in subordine, per l’infondatezza dell’appello.
Alla pubblica udienza del 21 gennaio 2014 i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.
DIRITTO
1. Oggetto della presente decisione è anzitutto il ricorso in appello n. 757/2013 proposto dall’Autorità di Bacino del Fiume Sarno avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania n. 4259/2012, con cui è stato respinto il ricorso contro la determinazione dirigenziale del Comune di Massa Lubrense (Na) n. 91 del 29 dicembre 2011, recante il provvedimento conclusivo della conferenza di servizi per l’approvazione del progetto definitivo di ristrutturazione dell’area portuale di Marina di Lobra e rimessaggio con sistemazione per la balneazione del litorale di Chiaia.
Giunge altresì a decisione il ricorso in appello n. 7795/2013, proposto da Gargiulo Michele (insieme a come detto), proprietario di un’area destinata all’espropriazione per consentire la realizzazione dell’intervento in questione, contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania con cui è stato respinto il ricorso contro il medesimo provvedimento comunale di approvazione del progetto definitivo, nonché contro gli atti e i provvedimenti presupposti.
2. Anzitutto il Collegio ritiene che vada disposta la riunione dei due ricorsi, per evidenti ragioni di connessione di carattere oggettivo e in parte soggettivo (art. 70 Cod. proc. amm.).
3. E’ preliminare esaminare l’eccezione di improcedibilità dell’appello sollevata dalla Marina Lobra s.r.l. nell’ambito del ricorso 757/2013.
Secondo la società appellata, il ricorso è improcedibile perché l’Autorità appellante si è limitata a contestare il capo della sentenza n. 4259/2012 relativo all’impugnazione dell’atto di approvazione del progetto definitivo ma non anche il capo relativo ai motivi aggiunti, con cui erano stati impugnati gli atti di stipula dell’accordo di programma fra il Comune di Massa Lubrense e la società di progetto Marina Lobra s.r.l.. Il che a suo dire determina l’intervenuta formazione del giudicato sul capo della sentenza con cui è stata respinta l’impugnazione dell’accordo di programma del 15 maggio 2012.
3.1. L’eccezione di improcedibilità non può essere condivisa.
Secondo un consolidato e qui condiviso orientamento, l’impugnazione dell’atto presupposto (qui: l’approvazione del progetto definitivo), già lesivo dell’interesse dell’interessato, consente di soprassedere senza pregiudizio all’impugnazione dell’atto conseguenziale (qui: l’atto di stipula dell’accordo di programma) quando l’annullamento del primo è ad effetto non meramente viziante del secondo, ma caducante: vale a dire, è tale da causare un’automatico venir meno del secondo, come avviene quando il provvedimento successivo ha carattere meramente esecutivo di quell’atto presupposto, ovvero lo segua nel procedimento in immediata derivazione logica e causale dall’atto precedente (ex multis: Cons. Stato, IV, 27 marzo 2009, n. 1869). Non è necessario impugnare l’atto finale, una volta impugnato quello preparatorio, se fra i due vi è una relazione di presupposizione e consequenzialità immediata, diretta e necessaria, perché l’atto successivo è inevitabile conseguenza di quello precedente, e non vi sono nuove e ulteriori valutazioni di interessi (ex multis: Cons. Stato, V, 2 novembre 2009, n. 6710; IV, 24 maggio 2013, n. 2823).
Qui non pare dubitabile la sussistenza dei tali caratteri di stretta interconnessione, in ragione del contenuto dei due atti, degli interessi cui presiedono e della complementarietà dei loro effetti, tali per cui l’atto successivo è, nell’ambito della medesima sequenza procedimentale, inevitabile conseguenza di quello anteriore, senza rinnovazione di valutazioni degli interessi implicati: e il secondo, funzionale a convenire con terzi la volontà dell’Amministrazione procedente, non avrebbe base senza il primo che di quella volontà rappresenta costituzione e manifestazione.
L’eccezione non può quindi essere condivisa.
4. Nel merito l’appello merita accoglimento, nei termini che seguono.
4.1. In particolare, il Collegio considera che è fondato il motivo di appello con cui si domanda la riforma della sentenza n. 2459/2012 nella parte essenziale, relativa agli effetti da attribuire all’obbligo dell’effettiva partecipazione procedimentale nell’ambito della conferenza di servizi decisorie nel caso di mancata partecipazione materiale – pur se appena preceduta dalla comunicazione scritta di un parere come quello in questione – ai lavori della conferenza stessa da parte del rappresentante di un’amministrazione preposta alla cura di valori sensibili (come – nel caso di specie – la tutela ambientale e la pubblica incolumità).
Al riguardo si osserva che il primo giudice, muovendo da una premessa esatta (la ragione della partecipazione effettiva alle conferenze di servizi decisorie), è giunto a conclusioni non condivisibili.
In particolare, la sentenza correttamente ha considerato che l’esigenza di procedere al confronto reciproco de visu di tutti i rappresentanti delle amministrazioni convocate, in vista della contestuale valutazione dei diversi interessi in questione, fondi sul dato che la formazione e la rappresentazione della posizione dell’amministrazioni ha nella contestualità materiale dei lavori della conferenza la sua miglior sede ai fini della semplificazione procedimentale e della congruenza dell’azione amministrativa. Sicché bene, in principio, il Comune procedente aveva rilevato l’irritualità del diniego opposto dall’Autorità di bacino, perché espresso al di fuori, pur se prima, della sede dei lavori della conferenza.
5. Il Tribunale amministrativo ha correttamente preso in considerazione questo dato dell’irritualità di siffatta espressione di parere in vista della conferenza di servizi (art. 14-quater, comma 3, l. n. 241 del 1990) .
Va rilevato infatti che dal comma 1 dell’art. 14-quater della l. n. 241 del 1990 si desume il principio di base della necessità della manifestazione del dissenso in conferenza, con particolare riguardo al c.d. ‘dissenso qualificato’. Secondo la disposizione, infatti, “il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni ivi comprese quelle preposte alla tutela ambientale, […] paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso”. Se così ritualmente espresso, un siffatto parere dissenziente genera l’effetto proprio di rendere la conferenza non più competente a trattare la questione e l’inderogabile necessità (cfr. Cons. Stato, VI, 23 maggio 2012, n. 3039) di rimettere la valutazione, se l’amministrazione procedente intenda insistere, ad altro, superiore e centrale livello di governo.
Quanto al fondamento della previsione, dal combinato dei commi 6 e 7 dell’art. 14-ter si desume che la partecipazione effettiva alla conferenza si basa sul principio della leale collaborazione istituzionale, di cui costituisce un’espressione per bene procedere all’esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti.
Non solo: la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha evidenziato che anche le amministrazioni preposte alla cura di valori e interessi sensibili (come quelli qui in rilievo) hanno l’onere di ritualmente esprimere all’interno della conferenza di servizi, proprio per il valore aggiunto del confronto dialettico, il loro eventuale dissenso qualificato (ex plurimis: Cons. Stato, VI, 23 febbraio 2012, n. 451; 23 maggio 2012, n. 3039; 27 novembre 2012, n. 5494; 15 gennaio 2013, n. 220; 24 gennaio 2013, n. 434).
Non è però dato far discendere da tali esatti presupposti conseguenze formalistiche, eccessive ed ultronee, che arrivano a negare la stessa ragione di base dei detti principi di confronto dialettico e di leale collaborazione che presiedono alla conferenza di servizi, e con essi i fondanti criteri di economicità e di efficacia che, a norma del principio generale dell’art. 1 l. n. 241 del 1990, debbono comunque presiedere alla complessiva azione amministrativa (anche in riferimento al principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.).
Questi principi, su cui si basa la ratio sia dell’istituto in questione che dell’intera disciplina legislativa del procedimento amministrativo, contribuiscono invero a identificare il corretto significato e la giusta portata dell’espressione “a pena di inammissibilità”, di cui alla disposizione.
Nel caso di specie, l’amministrazione procedente aveva motu proprio indicato la seduta del 15 novembre 2011 come conclusiva (cioè, a sua intenzione, senz’altro decisiva, in ipotesi di mancati dissensi qualificati, per la sintesi destinata a tradursi nel provvedimento conclusivo – l’approvazione del progetto definitivo dell’intervento -).
Tuttavia – come accennato -, precedentemente all’inizio della seduta, l’Autorità appellante (che la legge vuole preposta alla tutela dei rammentati valori ‘sensibili’ e cui è demandata l’espressione di un parere vincolante ai sensi dell’art. 8 del Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico – PSAI – dell’Autorità di Bacino del fiume Sarno) aveva fatto pervenire, con fax del 15 novembre 2011, prot. n. 1641, una nota a firma del Commissario straordinario, in pari data, prot. n. 1641, con cui si esprimeva “parere non favorevole alla compatibilità idrogeologica dell’intervento” rispetto ai suoi atti di pianificazione, con allegata relazione istruttoria e verbale del Comitato tecnico del, rispettivamente, 7 e 14 novembre.
In un tal modo, l’Autorità qui appellante aveva comunque rappresentato, seppure fuori e appena prima dal contesto della conferenza, che rilevanti porzioni del progettato intervento ricadevano in zone che il vigente Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (d.G.R. n. 223 del 13 febbraio 2009) classifica come ‘a pericolosità molto elevata’ da dissesti di versante (P4), come nel caso dell’alveo che sfocia sull’arenile del porticciolo di Marina della Lobra o del retrostante costone roccioso, ovvero a ‘pericolosità elevata’ (P3), come nel caso del lato sud-ovest denominato “banchina Fontanelle”.
Occorre qui considerare che il Piano Stralcio [di Bacino] per l’Assetto Idrogeologico (PSAI) è uno strumento speciale di difesa del suolo, previsto prima dall’art. 1, comma 1, d.-l. 11 giugno 1998, n. 180 (Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico e a favore delle zone colpite da disastri franosi nella Regione Campania), convertito dalla l. 3 agosto 1998, n. 267, e poi dall’art. 67 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (c.d. codice dell’ambiente), a stralcio funzionale del generale Piano di bacino di cui all’art. 17, comma 6-ter, l. 18 maggio 1989, n. 183, oggi art. 65 del medesimo codice dell’ambiente. È di competenza, nella specie, dell’Autorità di bacino regionale del fiume Sarno ed evidenzia le pericolosità e i rischi da frana ed idraulico, con individuazione e perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico e previsione di relative misure di salvaguardia. In ragioni di tali finalità, il PSAI collega ai detti rischi prescrizioni e limitazioni nell’uso del suolo e tipologie di interventi finalizzati al contenimento dei danni attesi. Al PSAI, in relazione alle superiori esigenze di difesa del suolo e di prevenzione del rischio idrogeologico, devono conformarsi tutti i provvedimenti autorizzativi e concessori, e ha valore di piano sovraordinato ai vari piani di settore e generali, come i piani urbanistici. In particolare, tra le Norme di attuazione di questo Piano stralcio, l’art. 7 (Efficacia ed effetti del Piano Stralcio adottato e approvato) prevede che “Le norme di attuazione e le prescrizioni contenute nel Piano Stralcio hanno carattere immediatamente vincolante per amministrazioni ed enti pubblici nonché per i soggetti privati; i Comuni […] interessati dal Piano di Bacino sono comunque obbligati ad adeguare al presente Piano i rispettivi di pianificazione e programmazione, a norma della legislazione vigente” e “Le amministrazioni comunali non possono rilasciare permessi a costruire e/o equivalenti titoli abilitativi in contrasto con il contenuto delle norme di attuazione e delle prescrizioni del Piano Stralcio relativamente alle aree perimetrate […]”; e l’art. 8 (Attività di controllo dell’Autorità di Bacino) prevede che “L’Autorità di bacino regionale del Sarno esprime pareri preventivi-obbligatori sugli atti di competenza al fine di valutarne la compatibilità con le norme di attuazione del Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico”. È altresì prevista l’adozione particolare, da parte del Comitato Istituzionale dell’Autorità, di misure di salvaguardia e di mitigazione del rischio.
Era stata dunque acquisita dall’amministrazione procedente, seppure in questi termini, un’informazione ufficiale comunque rappresentativa di un tale contrasto di quanto progettato per il porto di Marina della Lobra e annessi rispetto a siffatte prescrizioni.
Il carattere altamente rilevante per la complessiva configurazione dell’intervento e la provenienza dell’atto da fonte tecnica qualificata e sola per legge competente, avrebbero dovuto condurre il Comune di Massa Lubrense a porre in relazione il fatto della detta acquisizione con i fondamentali interessi pubblici e collettivi coinvolti: tanto sia alla luce della rammentata regola del confronto, sia – soprattutto – alla luce della ragione fondante del principio di leale collaborazione e dei detti principi generali dell’azione amministrativa. Perciò il Comune non avrebbe potuto, con attitudine formalistica incongrua rispetto alla ragionevole cura dell’interesse pubblico, e sproporzionata nella sostanza rispetto all’oggettiva gravità dei rischi idrogeologici indicati, prescindere dal considerare la necessità dell’effettività di un approfondimento nei tempi necessari e di un confronto dialettico. Dunque non avrebbe potuto, sottraendosi a una tale commisurazione, e criticando (unilateralmente) il contenuto di quel parere non favorevole appena giunto, chiudere senz’altro la questione dichiarando ‘inammissibile’ il dissenso, comunque tempestivamente espresso dall’Autorità, per il solo fatto di essere stato manifestato non nel contesto della conferenza.
Il Comune avrebbe invece dovuto, alla luce dell’appena pervenuto fax con l’atto ostativo, disporre un nuovo e definitivo supplemento di esame, anche convocando una nuova seduta della conferenza per l’esame delle criticità appena segnalate, mediante un reale confronto dialettico su di esse (cfr. Cons. Stato, VI, 15 marzo 2013, n. 1562).
Infatti, vero è che, in ragione della qualifica di ‘inammissibilità’, la mancata espressione nel contesto della conferenza di servizi del dissenso qualificato a cura di interessi sensibili non è idonea a generare l’effetto di rimessione della questione ad altro e superiore livello di governo a norma dell’art. 14-quater, comma 3, l. n. 241 del 1990. Nondimeno, un parere ostativo di siffatti caratteri ed effetti, espresso fuori e appena prima dalla conferenza, non è per ciò solo da considerare, da parte di un’altra amministrazione, come inesistente; né la valutazione tecnica cui si riferisce può essere contrastata nell’immediato, senza ulteriori e congrui approfondimenti.
Nemmeno a quella valutazione può essere opposto due anni dopo e in giudizio – prescindendo dalle competenze di legge e dalla considerazione che istruttoria e motivazione non si possono integrare ex post nel processo – un privato “parere pro veritate” (quello, prodotto in giudizio, del prof. ing. Carlo Viggiani, datato ‘dicembre 2013’). Si trattava comunque di un’avvenuta e legittimata rappresentazione di fatti, pericoli e interessi di primaria importanza per la collettività, espressa dall’autorità che la legge vuole competente alla difesa del suolo.
In forza dei rammentati criteri e principi generali di efficienza e buona amministrazione, che vincolano ogni amministrazione pubblica, una siffatta rappresentazione avrebbe dovuto esser presa in seria e proporzionata considerazione, anche dialettica, ai fini dello sviluppo del procedimento, posto anche che si riferiva a previsioni speciali, indicate come non derogabili.
6. È invero considerazione di base che l’azione amministrativa, quando è ripartita tra varie competenze, specie in ragione dell’autonomia locale, necessita dell’applicazione effettiva dell’immanente principio fondamentale di leale cooperazione, che esige – a compensazione della ripartizione di competenze – che le amministrazioni implicate collaborino realmente nella salvaguardia dell’esercizio reciproco delle funzioni, acquisendo così una congrua e completa conoscenza e dei fatti e la possibilità di una considerazione adeguata e proporzionata degli interessi coinvolti di rispettiva competenza, vagliando se gli assunti presi a base sono corretti o possono essere corretti e modificati pur senza venir meno alla cura dell’interesse pubblico di loro attribuzione: ferma restando poi per ciascuna la autonoma e definitiva valutazione (specie se tecnica: la comparazione non trasforma infatti la valutazione tecnica in un giudizio di discrezionalità amministrativa) (cfr. Cons. Stato, VI, 15 gennaio 2013, n. 220).
Il procedimento amministrativo, diversamente dal processo giurisdizionale, è del resto finalizzato a un obiettivo futuro di amministrazione e non a risolvere una controversia tra parti contrapposte: perciò non è basato sull’opposto carattere della competizione dei soggetti coinvolti. La prevalenza di un assunto sugli altri in contesa può esserne un effetto, ma la finalità che lo muove è l’effettiva e responsabile miglior cura complessiva dell’interesse pubblico. E di ciò occorre sia fatto governo nel caso concreto.
Qui, dunque, come detto l’amministrazione procedente avrebbe dovuto non prescindere dall’approfondire in tempi adeguati quanto rappresentatole, e rinnovare l’invito alla partecipazione effettiva a una successiva seduta della conferenza, per modo che il dissenso potesse essere espresso, dal legale rappresentante dell’Autorità di bacino o da un suo qualificato delegato, inter praesentes.
La difesa del suolo, con la tutela idrogeologica, costituisce del resto, come in concreto specificata nei piani e nelle competenti valutazioni in cui si estrinseca, un parametro la cui adeguata valutazione è imprescindibile per la salvaguardia del territorio, il contrasto del suo dissesto e del rischio idraulico, la difesa preventiva dell’incolumità delle persone, delle proprietà e delle attività umane e, non ultimo, per la tutela dell’economia generale su cui andrebbe a trasferirsi il costo sociale dei correlativi danni. Sicché non è proporzionato e ragionevole prescindere nel caso e nel modo descritti dalle rappresentazioni comunque fatte da parte dell’autorità competente.
E’ insomma evidente che, sebbene la seduta del 15 novembre 2011 fosse stata unilateralmente affermata come conclusiva, la gravità e la rilevanza delle ragioni rappresentate dall’Autorità avrebbe dovuto portare il Comune a non addurre il formalistico e riduttivo schermo dell’inammissibilità del dissenso perchè comunicato con le forme rammentate.
7. Pertanto la sentenza appellata va riformata per la parte in cui ha ritenuto che legittimamente il Comune di Massa Lubrense avesse disatteso (e con la formula della inammissibilità) il dissenso così espresso in rapporto alla difesa del suolo (prevenzione del rischio di dissesto idrogeologico in un’area, quella del bacino del fiume Sarno, che presenta sotto tale profilo aspetti di notevole e grave pericolosità).
Già sotto tale profilo, quindi, il provvedimento in data 29 novembre 2011 impugnato in primo grado deve essere annullato.
8. Ai limitati fini che qui rilevano, si osserva comunque che neppure le ulteriori ragioni esposte nel provvedimento del 29 novembre 2011 risultavano idonee a supportare adeguatamente la ritenuta inammissibilità del dissenso manifestata dall’Autorità.
Per quanto riguarda la ritenuta incompetenza del Commissario straordinario ad esprimere il dissenso dell’Autorità, questa ha correttamente osservato che, ai sensi dell’art. 8 delle norme di attuazione del PSAI, l’espressione dei pareri relativi all’assentibilità di varianti agli strumenti urbanistici comunali derivanti dall’approvazione di progetti puntuali spetta al Segretario generale (e, per esso, al Commissario straordinario dell’Autorità ai sensi della delibera di Giunta regionale della Campania n. 153 del 2011).
Si tratta di previsione certamente applicabile nel caso in esame, dal momento che l’approvazione del progetto avrebbe avuto l’effetto di determinare una variante agli strumenti urbanistici comunali.
Ad ogni modo, l’atto del 15 novembre 2011 richiamava in modo espresso l’esistenza di un parere espresso dall’organo tecnico dell’Autorità (il Comitato tecnico), il cui puntuale contenuto era stato comunicato al Comune dopo pochi giorni (21 novembre 2011).
Anche sotto tale aspetto, quindi, risultava affetta dai lamentati profili di illegittimità la scelta del Comune di dichiarare inammissibile un parere ostativo vertente su importanti aspetti di sicurezza del progetto, per ragioni di carattere formale e pur nella consapevolezza che il parere trovava fondamento nel deliberato dell’organo tecnico dell’Autorità appellante.
9. Per ragioni in parte analoghe a quelle dinanzi esposte, il provvedimento comunale impugnato in primo grado risultava viziato dei lamentati profili di eccesso di potere e difetto di motivazione in relazione alle esposte ragioni di pericolo per la pubblica incolumità e di dissesto idrogeologico che il Comune aveva ritenuto di poter escludere adottando il provvedimento impugnato in primo grado.
Tralasciando al momento gli aspetti di merito della questione, dall’esame degli atti di causa emerge che, a fronte dell’espressione di una posizione ostativa da parte di un’amministrazione (quale l’Autorità appellante) istituzionalmente preposta alla tutela di interessi ‘sensibili’, il Comune per un verso ha dichiarato l’inammissibilità del parere per le ragioni indebite su cui ci si è sopra soffermati e, per altro verso, ha esaminato con un certo dettaglio le ragioni del dissenso, concludendo nel senso che “il parere reso dal Commissario straordinario dell’AdB del Sarno, oltre a risultare inammissibile perché reso al di fuori della conferenza di servizi, è affetto da notevoli carenze istruttorie e motivazionali e travalica le competenze assegnate alla stessa Autorità di Bacino”.
In tal modo però il Comune ha avocato a sé, con il ruolo di amministrazione procedente che gli spettava, anche un improprio ruolo sindacatorio e di riesame, giungendo a qualificare ‘inammissibili e infondate’ le stesse ragioni sostanziali ostative al progetto, evidenziate dall’amministrazione preposta alla tutela di quegli interessi sensibili: mentre al Comune procedente non spetta una competenza per la tutela dei richiamati interessi.
10. Ai limitati fini che qui rilevano e fermo restando il carattere comunque dirimente di quanto considerato, si rileva, per quanto possa interessare, che il Comune di Massa Lubrense non ha comunque addotto modalità e argomenti attendibilmente sufficienti, secondo gli ordinari canoni di logica, a contrastare gli elementi ostativi rappresentati circa il progettato intervento. Neanche il parere pro veritate versato in atti dal Comune in data 11 dicembre 2013, anche a poter prescindere dalla sua pregiudiziale inammissibilità perché in contrasto con il generale divieto di nova in appello, conclude nel senso della certa assenza dei paventati pericoli: si esprime piuttosto in termini dubitativi e prudenziali, con una sorta di rinvio agli argomenti dell’Autorità per dichiararne la non persuasività (vi si legge, infatti, che “alcune criticità, come quelle connesse alle attività di balneazione nella zona del litorale Chiaia in prossimità di un versante classificato come area P4 (pericolosità molto elevata da dissesti di versante) non sfuggono allo scrivente e potrebbero giustificare un atteggiamento prudenziale. E tuttavia il parere dell’Autorità di Bacino non sembra allo scrivente ispirato da criteri prudenziali […]”).
11. Concludendo, il ricorso in appello dell’Autorità deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va annullato il provvedimento del 29 dicembre 2011 conclusivo della conferenza di servizi decisoria e gli atti allo stesso consequenziali, impugnati con i motivi aggiunti.
12. Per motivi analoghi a quelli sinora esaminati va accolto il nono dei motivi di appello sollevati dal Gargiulo (come detto), il quale ha nella specie riproposto il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo dei motivi proposti in primo grado (con quei motivi si era denunziata l’illegittimità del provvedimento conclusivo della conferenza di servizi e del conseguente accordo di programma per avere il Comune dichiarato inammissibile il parere negativo espresso dall’Autorità di bacino del fiume Sarno).
Allo stesso modo, va accolto il decimo motivo di appello con il quale (reiterando argomenti di primo grado) il Gargiulo ha nuovamente censurato l’operato del Comune per aver ritenuto di poter prescindere dal parere dell’Autorità di bacino del fiume Sarno per assunta incompetenza del Commissario straordinario ad esprimerne le determinazioni.
Ancora, è per le ragioni sopra dette fondato l’undicesimo motivo di appello con cui si è sottolineato che l’operato del Comune di Massa Lubrense si ponesse in contrasto con le previsioni di cui all’art. 14-quater della l. n. 241 del 1990 in tema di ‘Effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi’.
E’ inoltre similmente fondato il dodicesimo motivo di appello con il quale (reiterando anche qui un motivo già sviluppato in primo grado) il Gargiulo ha affermato che il Comune non poteva disattendere le ragioni tecniche poste a fondamento del parere non favorevole reso dall’Autorità di bacino.
13. Qui di seguito vengono poi esaminati gli ulteriori motivi del ricorso in appello proposti dal signor Gargiulo (insieme a come detto) avverso la sentenza n. 2766/2013.
14. Con il primo motivo si è chiesta la riforma della sentenza per la parte in cui ha respinto il mezzo fondato sulla radicale incompetenza del Comune ad esercitare compiti e funzioni in tema di porti di rilievo regionale.
Il motivo è infondato.
Va premesso al riguardo che, come osservato dal primo giudice – e come riconosciuto dallo stesso appellante – la delibera di Giunta regionale che includeva il porto di Marina della Lobra fra quelli di rilievo regionale (delibera n. 1047/2008) era stata annullata dallo stesso Tribunale amministrativo con sentenza n. 1127/2011.
Con l’atto di appello il Gargiulo ha obiettato che l’annullamento di quella delibera non incide sulla fattispecie, atteso che l’inclusione (ivi richiamata) tra i porti di rilievo regionale era stata già disposta con le delibere regionali di approvazione delle ‘Linee programmatiche per lo sviluppo integrato della portualità’ (ottobre-novembre 2012) e che il contenuto di queste ultime era stato richiamato dalla legge regionale della Campania 13 ottobre 2008, n. 13, di approvazione del Piano Territoriale Regionale (PTR).
Il motivo non può trovare accoglimento in quanto un atto regionale di carattere meramente programmatico, sebbene successivo, che a sua volta richiama una legge regionale precedente, non è, almeno in difetto di atti applicativi ulteriori, sufficiente a tener luogo di una statuizione puntuale, come quella di cui alla detta sentenza, che afferma che il porto in questione non è incluso fra quelli di rilievo regionale.
15. Con il secondo motivo il Gargiulo chiede la riforma della sentenza n. 2766/2013 per la parte in cui ha respinto il motivo relativo alla violazione del P.R.G. comunale, dell’art. 154 (Valutazione della proposta) del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché della detta legge regionale n. 16 del 2004 e del P.R.G. per decadenza ulraquinquennale del vincolo espropriativo.
In particolare, il primo giudice, riguardo agli atti della finanza di progetto, avrebbe omesso di rilevare la violazione nel caso di specie dell’art. 37-quater della l. 11 febbraio 1994, n. 109 in relazione all’art. 1 della l. 3 gennaio 1978, n. 1 per avere l’amministrazione dapprima proceduto ad aggiudicare in via definitiva la gara e solo successivamente ad approvare la variante urbanistica (in tal modo ribaltando la corretta sequenza procedimentale).
Ancora, il primo giudice avrebbe omesso di considerare che nelle aree interessate dall’intervento per cui è causa gli interventi edilizi possono essere effettuati solo attraverso la previa approvazione di piani urbanistici esecutivi (P.U.E.) di iniziativa pubblica, i quali non possono essere approvati se non previa variante urbanistica, la quale presuppone l’approvazione di un accordo di programma.
Ancora, il primo giudice avrebbe omesso di rilevare che nel caso in esame non era stata fornita un’apposita motivazione in ordine alla variante specifica che aveva interessato la sua attività.
15.1 Il motivo è infondato.
15.2. Quanto alla non compatibilità fra l’intervento progettato e il P.R.G. vigente all’epoca degli atti, si osserva che la circostanza di suo non risultava ostativa alla realizzazione, atteso che in tema di finanza di progetto l’art. 37-ter (Valutazione della proposta) della l. n. 109 del 1994 (ratione temporis applicabile) non comportava la radicale inammissibilità di un progetto potenzialmente di pubblico interesse per la sola non conformità rispetto ai vigenti strumenti urbanistici.
Inoltre, è importante rilevare che, ai sensi dell’art. 37-bis, comma 1, lo stadio di progetto dell’opera necessario per attivare la procedura di projectfinancing era quello del progetto preliminare (evidentemente caratterizzato da un livello di dettaglio non ancora definito nei contenuti conclusivi) e che, ai sensi del successivo art. 37-quater (Indizione della gara), in caso di necessità l’amministrazione avrebbe potuto utilizzare le procedure per la variazione dello strumento urbanistico di cui all’art. 14 (Programmazione dei lavori pubblici), comma 8, della stessa l. n. 109 del 1994 (variazione che nel caso di specie è stata operata).
Pertanto è infondato il motivo di ricorso basato sulle molteplici conseguenze della mancata o intempestiva variazione dello strumento urbanistico.
16. Neppure può trovare accoglimento il terzo motivo di appello, con cui si chiede la riforma della sentenza per non aver il primo giudice rilevato l’illegittimità dell’operato della Soprintendenza, la quale non aveva riscontrato ragioni ostative alla realizzazione del grande parcheggio previsto dal progetto, mentre aveva annullato il nulla-osta ai fini paesaggistici già rilasciato al Gargiulo per la realizzazione di un parcheggio interrato nell’area pertinenziale.
Al riguardo il primo giudice ha condivisibilmente rilevato l’insussistenza dei presupposti per la configurazione di una disparità di trattamento, atteso che l’appellante non ha in alcun modo dimostrato l’assimilabilità fra il progetto a suo tempo contrastato dalla locale Soprintendenza e quello all’origine dei fatti di causa. Ciò a parte la considerazione di base che in tema di autorizzazione paesaggistica la disparità di trattamento è vizio assai difficilmente riscontrabile, atteso il giocoforza diverso impatto sul paesaggio di due progetti, quand’anche simili tra loro (Cons. Stato, VI, 13 febbraio 1984, n. 81; 8 agosto 2000, n. 4345; 24 ottobre 2008, n. 5267; 11 settembre 2013, n. 4497).
17. Con il quarto motivo del ricorso principale il Gargiulo chiede la riforma della sentenza per la parte che ha respinto il motivo del ricorso principale in primo grado di violazione degli articoli 37-bis, 37-ter e 37-quater della l. n. 109 del 1994 in relazione al fatto che il progetto di finanza approvato in via definitiva sarebbe stato ‘del tutto difforme’ rispetto a quello presentato il 30 giugno 2001 e riconosciuto di pubblico interesse.
Inoltre, il complessivo iter concluso con il provvedimento di approvazione impugnato in primo grado risulterebbe in violazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa sia per evidenti scostamenti dal paradigma normativo di cui alla l. n. 109 del 1994, sia per la durata oggettivamente eccessiva del procedimento (circa dieci anni).
Il motivo è infondato.
Al riguardo il Collegio osserva che per questa parte l’appello non presenta elementi sufficienti per superare la decisione del primo giudice, che ha stimato generica la formulazione del motivo per omessa specificazione delle modifiche intercorso tra il 2002 e il 2007 che avrebbero comportato uno ‘stravolgimento’ del progetto iniziale.
Anche qui, infatti, l’argomento appare solo enunciato, ma non suffragato con puntuali allegazioni. Conseguentemente non possono trovare accoglimento le doglianze di pretesa violazione delle regole sostanziali e procedimentali degli articoli 37-bis e 37-ter della l. n. 109 del 1994.
18. Con il quinto motivo di appello il Gargiulo chiede la riforma della sentenza per la parte in cui ha respinto l’argomento (sollevato in primo grado con i motivi aggiunti) fondato sulla mancata acquisizione della Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) in relazione all’intervento per cui è causa. Egli aveva lamentato la violazione dell’art. 11 (Modalità di svolgimento) del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 perché l’intervento avrebbe dovuto essere sottoposto alla Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) e non alla Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.); e la mancata valutazione volta circa la non obbligatorietà della V.A.S.. A suo avviso, il Regolamento regionale di attuazione della VAS in Campania (d.P.G.R. n. 17 del 18 dicembre 2009) non consente l’esclusione dell’intervento dalla V.A.S., a pena di illegittimità per contrasto con gli artt. 6, 7 e 35 del medesimo codice dell’ambiente.
Al riguardo, la sentenza risulterebbe erronea per essersi il primo giudice limitato ad affermare che la realizzazione dell’intervento era inidonea a determinare impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale.
Per l’appellante, la sentenza è in parte qua erronea perché non tiene conto del complesso delle disposizioni che, al contrario, impongono una previa approvazione della V.A.S. in relazione alla tipologia di interventi del tipo di quello per cui è causa (o, quanto meno, l’effettuazione dello screening preliminare per accertare la non assoggettabilità alla V.A.S.).
Si deve a tal proposito rammentare che la Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.), ai sensi dell’art. 6 del codice dell’ambiente – che sul tema attua la direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001 – “riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale”. È una procedura essenzialmente finalizzata ad assumere valutazioni ambientali nei piani e programmi di sviluppo, al fine di integrare la considerazione complessiva degli effetti del piano o programma, nell’obiettivo della valutazione preventiva degli effetti ambientali dei piani o dei programmi in vista della loro approvazione, o in atto.
Nondimeno, ai sensi del medesimo art. 6, comma 3 (come modificato dall’art. 2, comma 3, lett. a), d.lgs. 29 giugno 2010, n. 128, precedente la fattispecie in oggetto) “Per i piani e i programmi […] che determinano l’uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al comma 2” essa “è necessaria qualora l’autorità competente valuti che producano impatti significativi sull’ambiente, secondo le disposizioni di cui all’art. 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilità ambientale dell’area oggetto di intervento”. Ai sensi del comma 3-bis (introdotto dall’art. 2, comma 3, lett. b), d.lgs. 29 giugno 2010, n. 128) “L’autorità competente valuta, secondo le disposizioni di cui all’art. 12 [(Verifica di assoggettabilità)], se i piani e i programmi, diversi da quelli di cui al comma 2, che definiscono il quadro di riferimento per l’autorizzazione dei progetti, producano impatti significativi sull’ambiente”.
Alla luce di tali disposizioni, non pare qui che sia contra legem e comunque irragionevole l’aver ritenuto non da assoggettare alla V.A.S. il progetto definitivo per la ristrutturazione dell’area portuale di Marina di Lobra e rimessaggio con sistemazione per la balneazione del litorale di Chiaia. Non si tratta, in effetti, di un piano di dimensioni e ampiezza tale da richiedere una siffatta procedura in luogo di quella di V.I.A., ma di un programma circoscritto di opera localizzata e definita, per quanto complessa. Correttamente dunque ha ritenuto il primo giudice che dovesse essere sottoposto alla sola Valutazione di Impatto Ambientale.
19. Con il sesto motivo, l’appellante Gargiulo lamenta l’erroneità della sentenza n. 2766/2013 per la parte in cui ha ritenuto che, in applicazione dell’art. 14-ter, commi 4 e 6-bis, una volta decorso il termine per l’espressione della Valutazione di Impatto Ambientale da parte della Regione Campania, il Comune procedente potesse, nell’inerzia della Regione, adottare la determinazione conclusiva, di fatto prescindendo dall’acquisizione della V.I.A..
Al contrario, le richiamate previsioni di legge andrebbero intese nel senso di rendere comunque necessaria la previa acquisizione della V.I.A. regionale e di, in assenza di tale valutazione, impedire l’adozione del provvedimento conclusivo della conferenza.
Anche il settimo motivo di appello del Gargiulo riprende argomentazioni in parte analoghe e sottolinea l’erroneità della tesi – condivisa dal primo giudice – secondo cui il decorso del termine di sessanta giorni di cui all’art. 14-ter, comma 6-bis consentirebbe all’amministrazione procedente di adottare il provvedimento finale anche in assenza di una qualunque Valutazione di Impatto Ambientale.
Tale tesi si porrebbe in contrasto: a) con la direttiva 85/337/CE (Direttiva del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati); b) con gli articoli 3-ter e 29, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. ‘codice dell’ambiente’) i quali riconoscono al procedimento di V.I.A. una valenza strategica al fine della tutela ex ante dell’ambiente.
Secondo l’appello, del resto, nelle ipotesi in cui è richiesta, l’espressione della V.I.A. non può che anticipare l’approvazione del progetto definitivo (cosa che è mancata nel caso di specie).
Laddove, poi, il più volte richiamato art. 14-ter, comma 6-bis, l. n. 241 del 1990, fosse interpretato secondo quanto ritenuto dal primo giudice, la disposizione andrebbe disapplicata perché configgente con le direttive 85/337/CEE e 2001/42/CEE.
20. I motivi in questione, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
Al riguardo, è condivisibile quanto osservato dalla Marina Lobra s.r.l., che ha osservato che il procedimento di approvazione dell’intervento è conforme al pertinente paradigma normativo, e segnatamente al comma 6-bis dell’art. 14-ter l. n. 241 del 1990, come introdotto dall’art. 10 l. 11 febbraio 2005, n. 15 (disposizione, quest’ultima, che governa il tratto procedimentale interessato dal presente motivo di ricorso).
Il richiamato comma 4 prevede tra l’altro che “ […] la conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed il termine di cui al comma 3 resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all’acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale. Se la VIA non interviene nel termine previsto per l’adozione del relativo provvedimento, l’amministrazione competente si esprime in sede di conferenza di servizi […]”, salvo che “a richiesta della maggioranza dei soggetti partecipanti alla conferenza di servizi”, il termine di trenta giorni sia prorogato di altrettanto per necessità di approfondimenti istruttori; e il richiamato comma 6-bis prevede che “all’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui ai commi 3 e 4, l’amministrazione procedente, in caso di VIA statale, può adire direttamente il Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 26, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; in tutti gli altri casi, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede, adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento che sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza (…)”.
Ebbene, nel caso in esame – fermo quanto sopra considerato in senso ostativo circa l’esito, cioè l’esaurimento, dei lavori della conferenza – era accaduto che la Regione Campania (competente ad effettuare la V.I.A.), pur se ritualmente convocata e comunque sollecitata a provvedere, non avesse espresso le valutazioni di competenza.
Qui i lavori della conferenza erano stati sospesi per un tratto di tempo di novanta giorni (cioè per il termine ordinariamente richiesto per acquisire la V.I.A. – art. 14-ter, comma 4, l. n. 241 del 1990) e solo dopo decorso tale termine l’ente procedente aveva provveduto a portare avanti i lavori (comunque da considerare non ancora conclusi) della conferenza di servizi, conformemente all’art. 14-ter, comma 6-bis.
In quella prospettiva, il Comune pare aver correttamente applicato il richiamato art. 14-ter, comma 6-bis per il quale, in ipotesi diverse da quelle per cui è richiesta la V.I.A. statale, la mancata espressione della valutazione di impatto ambientale da parte dell’amministrazione preposta legittima quella procedente ad adottare la determinazione motivata di conclusione del procedimento.
Tale conclusione, peraltro, va qui rapportata alla mera prosecuzione dei lavori della conferenza stessa e non già alla determinazione di conclusione del procedimento, che qui non poteva aver luogo perché la conferenza per quanto detto non poteva considerarsi conclusa. L’assunto di illegittimità non è fondato, ma nei termini in cui si abbia a riferimento la prosecuzione dei lavori, fermo quanto sopra evidenziato circa l’ulteriore partecipazione dell’Autorità di bacino.
Deve, infine, essere disattesa la richiesta di procedere alla disapplicazione dell’art. 14-ter, comma 6-bis l. n. 241 del 1990, per genericità della formulazione (infatti, gli appellanti non hanno chiaramente indicato quali disposizioni di diritto europeo risulterebbero non compatibili con la norma di legge di cui si chiede la disapplicazione).
21. Con l’ottavo motivo (reiterativo del settimo e ottavo motivo de ricorso per motivi aggiunti proposto in primo grado), si è lamentato che il progetto definitivo si sia posto in contrasto con il P.U.T. della regione Campania.
21.1. Il motivo è infondato poiché nessuna delle lamentate violazioni del P.U.T. risulta sussistente nel caso di specie.
Per quanto riguarda, infatti, il contrasto fra l’allungamento della scogliera e la Parte V del P.U.T. (punto 3.3.1.), la società Marina Lobra ha correttamente obiettato che l’intervento risulta compatibile con le previsioni del Programma Integrato di Portualità Turistica, relativo alla Penisola sorrentina.
Per quanto riguarda la realizzazione di un parcheggio interrato in una zona territoriale 2 del PUTT, non sembra che un siffatto intervento sia precluso, almeno nelle more dell’adeguamento del piano regolatore generale alle previsioni del P.U.T..
Per quanto riguarda la contestata realizzazione di una piscina (c.d. ‘piscina Cutolo’) in zona territoriale 1b) del P.U.T.T., la società Marina Lobra ha correttamente obiettato (con deduzione non contestata) che tale piscina rientra, al contrario, in un’area qualificata come G2 (portuale) dal vigente P.R.G.
22. Per le ragioni sin qui esposte l’appello n. 757/2013 (Autorità di bacino del fiume Sarno) deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere annullato il provvedimento dirigenziale del 29 dicembre 2011 di approvazione del progetto definitivo e gli atti allo stesso conseguenti.
Il ricorso in appello n. 7795/2013 deve essere accolto in parte, nei sensi di cui in motivazione.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti:
– accoglie l’appello n. 757/2013 e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento dirigenziale del 29 dicembre 2011 di approvazione del progetto definitivo e gli atti allo stesso conseguenti.
– accoglie in parte il ricorso in appello n. 7795/2013, nei sensi di cui in motivazione.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2014 con l’intervento dei magistrati
Giuseppe Severini, Presidente, Estensore
Sergio De Felice, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Vito Carella, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)